
Da qualche parte, nella Liverpool della fine degli anni ’80, Lee Mavers inseguiva qualcosa che nessun altro poteva sentire. Non solo una canzone o un album—qualcosa di più grande. Un suono. Una sensazione. Quel tipo di cosa che, se catturata nel modo giusto, potrebbe cambiare tutto.
Il problema? Non ci è mai riuscito.
Mavers era il frontman dei The La’s, una band che avrebbe potuto conquistare il mondo ma che invece ha lasciato dietro di sé un solo album in studio, un album che Mavers ha sempre disprezzato. Eppure, conteneva "There She Goes", una canzone spesso acclamata come la perfetta canzone pop.
Pensiamoci un attimo. L’uomo che ha passato la sua carriera a rifiutare tutto perché “non era abbastanza giusto” ha scritto, quasi per sbaglio, qualcosa che critici musicali, artisti e ascoltatori considerano impeccabile. Dovrebbe essere una battuta, ma nel caso di Mavers è una tragedia.
Il suono nella sua testa vs. il suono su nastro
Cosa c’era di sbagliato? Secondo Mavers, tutto.
Ha scartato sessioni di registrazione, licenziato produttori e rifiutato intere versioni dell'album The La’s (1990) perché non corrispondevano al suono che sentiva nella sua testa. La produzione di John Porter? Troppo pulita. La versione di Mike Hedges? Mancava di grinta. Persino il mix finale di Steve Lillywhite, che ha prodotto album per U2, Rolling Stones, XTC e Morrissey, era secondo lui morto ancor prima di nascere.
Diventò ossessionato dall’idea che gli studi moderni stessero distruggendo la musica. Rifiutava attrezzature all’avanguardia, sostenendo che solo gli strumenti coperti di polvere degli anni ’60 potessero catturare l’energia giusta. Si racconta addirittura che si sia rifiutato di registrare finché non avesse trovato un banco mixer con la "polvere originale" sopra, come se l’autenticità potesse essere misurata in strati di sporco.
L’ironia? L’album omonimo "The La’s" è un capolavoro. Grezzo, immediato, carico di quell’energia che molte band avrebbero dato qualsiasi cosa per ottenere. Per chiunque, tranne Mavers, era già perfetto.
Le band che ne hanno raccolto l’eredità
Mentre Mavers restava intrappolato nella sua gabbia di insoddisfazione, altri hanno preso la sua formula e l’hanno trasformata in qualcosa di più grande.
I The La’s sono stati, in molti modi, l’anello mancante tra i Beatles e il cosiddetto "Britpop". Noel Gallagher ha apertamente ammesso che "Definitely Maybe" è stato il suo tentativo di riscrivere "There She Goes" più e più volte. Gli Oasis hanno preso la formula dei The La’s: chitarre jangle, songwriting essenziale, un frontman con attitudine spavalda, e l’hanno trasformata in un fenomeno globale.
I primi lavori dei Blur? Sono anche loro fortemente influenzati dai The La’s. Anche i Cast, la band fondata dall’ex bassista John Power, hanno ottenuto più successo dei The La’s, proprio perché Power si era stancato di aspettare l’album perfetto che Mavers non avrebbe mai finito.
E non finisce qui. The Strokes, Arctic Monkeys, The Libertines e persino band indie più recenti come i Fontaines D.C. devono qualcosa al suono che Mavers era convinto non fosse abbastanza buono. Nel frattempo, lui è svanito nella leggenda, riapparendo sporadicamente, sempre con la promessa di un secondo album che non è mai arrivato.
L’imperfezione è il punto
La storia di Mavers è un monito per chiunque crei qualcosa. Il perfezionismo può sembrare una ricerca nobile, ma il più delle volte è una trappola. Ti convince che il tuo lavoro non è mai pronto, mai abbastanza valido per essere condiviso. Ma la verità è che le cose che amiamo di più, la musica, le idee, l’arte, sono raramente perfette. E non hanno bisogno di esserlo.
Pensa agli album che ti hanno segnato. Sono le piccole imperfezioni, la crepa nella voce di un cantante, la distorsione inaspettata in un riff, la spontaneità disordinata di una registrazione live, a renderli veri. Se i The La’s avessero avuto tempo e denaro infiniti per registrare la loro versione “perfetta” dell’album, avrebbe avuto lo stesso impatto? Probabilmente no.
Eppure, eccoci qui. Dopo più di 30 anni, "There She Goes" continua a essere suonata, reinterpretata, studiata come una delle migliori canzoni pop mai scritte. Tutto mentre il suo creatore insisteva che non fosse abbastanza.
Lasciare andare
Mavers non ha mai ascoltato il suo “album perfetto”. Forse è una tragedia, o forse è la prova che inseguire la perfezione è una battaglia persa. C’è una linea sottile tra cercare la grandezza e rifiutarsi di lasciare vivere qualcosa.
Quindi, la prossima volta che esiti a lanciare, pubblicare o condividere qualcosa perché “non è ancora perfetto,” ricorda che niente lo è mai. Ed è proprio per questo che vale la pena di farlo.
Perché non è la perfezione a connetterci, ma proprio l’imperfezione.
Credits: - Cover image: Getty Images
- Fonti: BBC
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